A CACCIA DI… SOFT SKILLS CON MAURIZIA CACCIATORI

Maurizia Cacciatori è il simbolo della pallavolo italiana femminile, tra le interpreti più vincenti e affermate nella storia del volley mondiale. Attorno alla sua figura si è creata negli anni ’90 l’immagine dell’intero movimento pallavolistico femminile italiano, fino ad allora poco considerato dai media.

Oggi è un’apprezzata keynote speaker aziendale e promotrice di team building a tema sportivo destinati a perfezionare le soft skills tipiche di un gruppo di lavoro come la leadership, il gioco di squadra, la resilienza, la capacità di adattamento e l’intelligenza emotiva.

Maurizia CacciatoriDurante la sua carriera agonistica ha lasciato il segno in ogni Club con cui ha gareggiato, ma è alla Foppapedretti Bergamo che ha reso il suo palmares inimitabile: 4 Scudetti, 3 Coppe Italia, 3 Supercoppe italiane, 2 Coppe dei Campioni.

È stata anche la bandiera della Nazionale italiana, di cui ha vestito la fascia da capitano per anni. Con la Maglia Azzurra ha collezionato ben 228 presenze, la prima partecipazione Olimpica nel 2000, un Bronzo agli Europei del 1999, un Argento a quelli del 2001 e, soprattutto, il titolo di migliore alzatrice del Mondiale ‘98.

Tra le altre cose, oggi è un’apprezzata commentatrice televisiva, prima per Sky e ora per DAZN, ha scritto un libro e, grazie alla sua fama e alla sua presenza, partecipa spesso a TV show di successo.

 

Maurizia, partiamo da questo tuo ruolo di formatrice aziendale. Team building, leadership, intelligenza emotiva, etc. Quanto ritieni sia importante per le imprese investire educando i propri dipendenti e manager su questi aspetti?

Credo che l’eredità più grande che lo sport mi abbia dato non siano state le coppe, le medaglie o i trofei, bensì tutte quelle soft skills che ho allenato in maniera forse inconscia fin da giovane. Parlo della collaborazione, lo spirito di squadra, la leadership, la resilienza, l’empatia nei confronti delle mie compagne, la capacità di costruire dinamiche in breve tempo e in vari team differenti, senza dimenticare la gestione del cambiamento perché nella vita di uno sportivo un anno giochi in una città e l’anno dopo sei da un’altra parte.

Riassumendo, tutti questi aspetti io li ho allenati e mi sono resa conto che le realtà aziendali oggi ne hanno particolarmente bisogno, soprattutto in questo periodo in cui l’epidemia da COVID-19 ha messo in difficoltà tutti.

 

Il virus ha costretto il mondo aziendale italiano a liberarsi di alcuni pesanti fardelli del passato e ad intraprendere quel processo di digitalizzazione già ampiamente avviato anni fa in paesi europei più virtuosi. Alla luce di tutto ciò, come cambia il tuo lavoro di formatrice?

a Caccia di... soft skillMi manca molto il contatto visivo e soprattutto fisico, perché quando parlo mi piace vedere la reazione delle persone. Tuttavia, ho capito immediatamente che la domanda di convention sarebbe cambiata repentinamente perché non possiamo più riunirci, e quindi ho deciso di adeguare l’offerta e utilizzare i webinar.

In questi giorni ho riunito un po’ di amici, icone dello sport italiano, per realizzare un format di formazione a distanza dedicato ad alcuni specifici valori aziendali. Il progetto si chiama “a Caccia di… soft skills” e con cinque leggende del calibro di Massimiliano Rosolino, Riccardo Pittis, Giusy Versace, Marco Bortolami e Josefa Idem ci confronteremo su temi come il cambiamento, la resilienza, l’empatia, la leadership e il metodo. 

 

Tuffo nel passato. Negli anni ’90 non c’era appassionato sportivo che non fosse incantato dalla tua classe e dalla tua personalità. Come si spiega un successo così dirompente? Quali fattori ti hanno reso una delle atlete più amate dagli italiani?

Dopo la prima storica qualificazione alle Olimpiadi di Sidney 2000, l’interesse intorno il mondo della pallavolo è cresciuto in modo impressionante. Avevamo tutti gli occhi puntati addosso, da quello che facevamo in campo a quello che facevamo fuori. In particolare io, essendo la capitana di quella squadra, ero la più esposta ai riflettori. La mia fortuna è stata di non aver mai dato troppo peso a tutto questo ed esser sempre stata protetta dalle familiari mura delle palestre. Infatti, quando non ero ad allenarmi ero in viaggio per le partite e non passavo molto tempo a casa: in questo modo, in assenza di smartphone non avevo percezione del buzz intorno a me. Di sicuro sapevo di essere nell’occhio del ciclone perché finivo spesso sui giornali per motivi sportivi (e non solo…), ma ho gestito il tutto molto serenamente.

 

Passiamo allo sport giocato. Hai vinto praticamente tutto quello che si poteva vincere con la maglia di club. Qual è stata la vittoria più bella? Hai qualche rimpianto particolare nella tua carriera sportiva?

Non ho particolari rimpianti, credo che tutto quello che facciamo nella vita sia frutto delle nostre scelte, ed esse, giuste o sbagliate che siano, vanno comunque rispettate.

La mia vittoria più bella penso sia stata la proprio la qualificazione alle Olimpiadi. Prima del 2000 infatti, l’Italia non era mai riuscita ad accedere alla competizione più bella per eccellenza, i Giochi Olimpici. Una volta staccato il biglietto per Sidney, c’è stato un cambio d’immagine e di credibilità per tutto il movimento del volley italiano, la pallavolo stessa è diventata lo sport più praticato tra le donne.

Per questo credo che io e le mie colleghe siamo state un po’ le paladine movimento dell’epoca, una responsabilità grande ma molto bella.

 

Anno 2003 si chiude un ciclo per Maurizia: dopo un lungo trascorso in terra bergamasca costellato da vittorie e successi lasci la Penisola e ti trasferisci a giocare a Tenerife.

Che emozioni hai provato nel momento in cui hai chiuso un capitolo così importante della tua carriera?

Maurizia CacciatoriIl cambiamento non è mai stato un problema. Fin da giovane ho capito che se volevo migliorare dovevo necessariamente cambiare. All’età di 16 anni ho iniziato a cambiare città: Perugia, Agrigento, Bergamo, Napoli. In pochi anni ho cambiato cultura, mentalità, gestione del team, etc.

Poi, da atleta matura, quando ho smesso a Bergamo per andare a giocare in Spagna, ho lasciato la città a cui sono più riconoscente e una squadra con cui ho vinto i titoli più importanti della mia carriera. Quello è stato un altro importante cambiamento, perché ero la straniera venuta ad alzare la cifra tecnica, quindi avevo ancora più occhi puntati addosso nonché maggiori responsabilità. Tra le mille cose, ho dovuto cambiare lingua, imparando lo spagnolo in modo che le mie compagne potessero capire alla perfezione quello che sentivo e che provavo.

La Spagna è stata una bellissima esperienza che ho apprezzato dal primo fino all’ultimo giorno, conclusasi tra l’altro con la vittoria della Champions League. Un anno fantastico.

 

Maurizia Cacciatori è stata giocatrice di pallavolo, attrice, scrittrice, personaggio televisivo e ora speaker per aziende. C’è qualche altro sassolino che vuoi toglierti dalla scarpa?

Mi sono sempre reputata una persona molto libera e curiosa. Quando giocavo a pallavolo avevo la consapevolezza che questo meraviglioso sogno dovesse necessariamente finire. Per questo, appese le scarpe al chiodo, ho scelto di lavorare nella comunicazione, lavorando prima per Sky e ora per DAZN, e poi sono entrata in punta di piedi nel mondo aziendale. Credo che la realtà aziendale sia molto simile a quella di una squadra di volley, dove un team punta al massimo per arrivare ad un obiettivo, e deve condividere valori, identità, mission etc. Ho scritto anche un libro in cui racconto tutta la mia carriera e il mio modo di concepire la vita.

Per tutto questo non credo di avere particolari sassolini da togliermi, sicuramente so di essere una persona molto intraprendente, non mi piace stare ferma, amo i percorsi lunghi e guardare tutto quello che mi circonda. Caratteristica quella della curiosità che reputo molto bella. Non bisogna mai smettere di essere curiosi e coraggiosi. Ho fatto tanti errori nella mia vita, ciò nonostante ne vado anche orgogliosa perché fanno parte del mio percorso e hanno contribuito a rendermi quello che sono.