IL SACCHISMO AL SERVIZIO DI MANAGER E AZIENDE

Il “Profeta di Fusignano” Arrigo Sacchi è riconosciuto all’unanimità come uno dei migliori allenatori di calcio della storia.

Se il calcio è metafora di vita, la “distruzione creativa” portata da Sacchi al mondo del pallone lo rendono il candidato ideale per parlare di temi quali leadership, innovazione e cambiamento, tanto cari al mondo aziendale.

Il sacchismo al servizio di manager e aziendeCultore del “calcio totale”, Arrigo Sacchi guida dal 1987 al 1991 quella che per molti è stata la squadra più forte di ogni epoca, il “Milan degli Immortali”. Il Mondiale ’94, sfiorato per un soffio con la Nazionale, resta un rammarico che nulla toglie alla sua magnifica e vincente carriera.

Sacchi è stato un innovatore, un visionario, ha proposto un gioco veloce e moderno basato su principi in grado di rivoluzionare il calcio dei decenni a venire: difesa a zona, tattica del fuorigioco, pressing estenuante e una buona dose di spettacolo.

Ecco quindi che Arrigo Sacchi si riscopre al giorno d’oggi nelle vesti di formatore, per tutte quelle imprese che, di fronte a un mercato sempre più dinamico, desiderano interiorizzare e fare propri quello spirito schumpeteriano e quella capacità di pensare out of the box, capisaldi caratterizzanti del Sacchi-pensiero.

 

In questi giorni di lock down anche per il mondo sportivo, diversi programmi televisivi propongono un tuffo nel passato, con documentari e speciali delle imprese che hanno fatto la storia dello sport. Tra queste domina il suo Milan, il “Milan degli Immortali”.

Le capita mai di sedersi sul divano e come un tifoso nostalgico rivivere quei momenti?

Adesso, con il fatto che siamo in quarantena e non possiamo uscire, si, ho guardato un po’ di partite. Le ho guardate a volte con gli occhi da tifoso, altre come allenatore, notando le cose che facevamo bene e quelle che facevamo meno bene. Ma non le rivedo mai in modo nostalgico, no. Mi emoziono di tanto in tanto perché vedo ciò che abbiamo fatto e questo ancora mi fa piacere.

 

Molti hanno individuato in Pep Guardiola il suo erede. Indubbiamente il tecnico catalano ha saputo introdurre dei concetti e degli elementi innovativi nel calcio moderno, rivoluzionandolo e cambiandone i paradigmi. Quanto ritiene essere opportuno il parallelismo tra il suo Milan e il Barcellona di Guardiola? In che cosa invece si differenziano queste due straordinarie squadre?    

Cassius Clay diceva “Se a 50 anni, pensi come pensavi a 20, allora hai sciupato 30 anni della tua esistenza”.

Io credo che ci siano state 3 squadre che hanno aiutato l’evoluzione del calcio: l’Ajax di Rinus Michels, con un po’ di presunzione il mio Milan del ’89, e, appunto, il Barcellona di Pep Guardiola. Si sono sostanzialmente passate il testimone: le idee di base erano le stesse, ma era tutto aggiornato e perfezionato in base al periodo in cui si trovavano.

Il sacchismo al servizio di manager e aziendeNoi, ad esempio, in fase difensiva avevamo dei riferimenti molto diversi rispetto all’Ajax, ma le idee erano le medesime, applicate con un gioco differente. Il Barcellona ha giocato un altro tipo di calcio anche in relazione ai giocatori che aveva: loro avevano molti giocatori tecnici, piccoli e rapidi, quindi usavano molto i passaggi brevi.

Queste 3 squadre hanno permesso al mondo del calcio di progredire. Adesso arriverà una quarta squadra che continuerà questa “staffetta”.

Quindi sicuramente le idee sono parallele, ma le differenze erano nel modo di giocare e di realizzare le idee.

 

Arrigo Sacchi e il calcio. Si considera più artista o scienziato?

Nessuno delle due cose. Io credevo in un calcio ottimista, organizzato, avevo messo al centro del progetto “il gioco”. Come un regista cinematografico che mette al centro del progetto la trama e la sceneggiatura. E avevo cercato gli interpreti più adatti per recitare quel film.

Ovviamente avere o scegliere gli interpreti giusti è fondamentale. Pensa se Steven Spielberg dovesse fare un film drammatico e il produttore gli portasse i migliori comici del mondo. Qualcosa non funzionerebbe.

 

Dalla formazione sul rettangolo verde, alla formazione in azienda. Che differenza c‘è nell’interfacciarsi con manager e professionisti aziendali invece che calciatori?

Io vengo dall’industria, dai 19 ai 38 anni ho lavorato nell’industria, quindi in realtà per me si tratta di un ritorno. Penso che il calcio sia il riflesso della vita sociale e della storia di un paese e quindi penso mi abbia aiutato molto: io credevo ad un’organizzazione che potesse aiutare i calciatori ad essere migliori, a sfruttarne la sinergia, la comunicazione ed il collettivo. Non è un caso che nel mio Milan ne abbiano beneficiato tutti individualmente: hanno avuto dei riconoscimenti che mai avevano avuto prima. Gullit non aveva mai vinto il pallone d’oro, lo ha vinto con noi; Van Basten non aveva mai vinto il pallone d’oro, ne vinse due con noi; Baresi a 29 anni è arrivato secondo ma prima non era mai stato tra i primi 10.

Il sacchismo al servizio di manager e aziendeIo ero quello che ha messo l’idea in un ambiente molto positivo, perché quando tu hai successi od insuccessi il merito più grande va senza dubbio al Club. Con le sue visioni, con le sue norme, con il suo stile. Il Club viene prima della squadra come la squadra viene prima di ogni singolo. È uno sport di squadra, quindi anche l’allenamento deve basarsi non sul singolo, sul collettivo, sulla squadra, come si muovevano, l’organico, ecc. È come ciò che succede nella vita sociale di tutti i giorni e anche nelle aziende.

Nelle aziende è sì fondamentale la strategia (come l’allenamento): senza una strategia a lungo termine, si è destinati all’insuccesso, al fallimento. Ma è parimenti importante, se non di più, avere una buona struttura, come noi abbiamo avuto il supporto di un grande Club dietro le spalle. Anche l’azienda deve avere una grande proprietà, che abbia la sensibilità, le capacità, la motivazione, la visione, sfruttando uno stile proprio. Lo stile è ciò che definisce chi sei cosa fai e dove andrai. Lo stile ti qualifica.

 

Pioniere del cambiamento, precursore dei tempi. C’è chi sostiene che Arrigo Sacchi sta al mondo del calcio come Steve Jobs sta a quello della tecnologia. Esiste una ricetta da seguire per essere innovativi o quella al mutamento è una predisposizione innata, insita nel DNA?

La psicologia cognitiva sostiene oggi che nessuno nasce con il talento. Si nasce con delle attitudini che vengono ampliate tramite la perseveranza, la determinazione, la volontà di apprendere, l’imparare dagli errori commessi per non ripeterli e dalla fortuna di trovare un “allenatore”, un capo, un maestro che aiuti a superare i punti di debolezza. Per essere innovativi bisogna avere l’attitudine ma poi bisogna saperla coltivare e rafforzare.